Storia

Una storia millenaria

In questo territorio l’uomo ha vissuto sin dalla Preistoria e da sempre ha saputo sfruttarne le ricchezze della Terra, le Georisorse. Dall’età del Rame, circa 3000 anni prima di Cristo, sino agli anni’90 del 900, attraverso popolazioni di epoca preistorica, etrusca, romana, medioevale, rinascimentale, per proseguire nel XIX e XX secolo per quasi cinquemila anni questo territorio è stato la culla dello sfruttamento di rocce e minerali, metalli e altre risorse della Terra che hanno sostenuto le evoluzioni e contraddistinto le vicende di varie civiltà e culture.

Dal Neolitico all’età del Rame

Numerose sono le attestazioni neolitiche nel territorio del Parco. Tra queste il geosito de La Pietra lungo la valle del Farma, nel Comune di Roccastrada, dopo la frazione di Torniella, è noto per la presenza di una grande cava di diaspro e officina risalente all’età del rame, circa 5.000 anni fa, che serviva a selezionare la roccia di migliore qualità da lavorare sul posto, attraverso la scheggiatura, per ottenere semilavorati da trasformare in raffinate punte di freccia e di giavellotto, con una lavorazione più minuziosa che veniva fatta altrove. Una intensa rete di scambi, peraltro già attiva durante il Neolitico, permise, in maniera più consistente rispetto al passato, una larga circolazione di materie prime e prodotti finiti. Il territorio del Parco, ricco di risorse minerarie, in questa fase divenne oggetto di intense frequentazioni da parte dei gruppi cercatori di metalli. Studi recenti dell’Università di Padova ipotizzano, in base allo studio degli isotopi dei metalli, che il rame dell’ascia dell’uomo del ghiaccio meglio conosciuto come Ötzi, la mummia dell’Uomo di Similaun, ritrovato nel 1991 sulle Alpi Venoste, risalente a oltre 5300 anni fa, possa provenire dalle Colline Metallifere.

Gli Etruschi, il popolo dei metalli

Gli Etruschi a partire dall’VIII secolo a.C. hanno iniziato l’estrazione e la lavorazione sistematica di minerali, metalli e altre risorse di cui era ricco il territorio (a partire dalla vicina Isola d’Elba) e hanno lasciato tracce di numerosi insediamenti abitativi e produttivi tra le colline. Due importanti città etrusche, Populonia e Vetulonia, per secoli si sono contese queste valli e queste colline. Tra i più importanti siti etruschi si deve citare il Lago dell’Accesa dove decennali scavi archeologici, ad opera del gruppo di lavoro del prof. Giovannangelo Camporeale dell’Università di Firenze, hanno fatto emergere una serie di insediamenti posti attorno al lago, riconducibili ad un villaggio dedicato anche alla lavorazione dei metalli. Fondamentali sono poi i reperti rinvenuti nelle numerose necropoli etrusche del territorio (San Germano, Santa Teresa, Poggio Pelliccia, Poggio Tondo) che sono oggi osservabili presso i musei archeologici di Massa Marittima, Rocca di Frassinello, il Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi dei Vetulonia e il Museo Archeologico e d’Arte della Maremma a Grosseto, (guarda il sito Musei di Maremma). Importanti sono inoltre i resti di un insediamento etrusco improntato sulla lavorazione siderurgica, scoperti in zona Rondelli nei pressi di Follonica, nella primavera del 1997.Gli Etruschi a partire dall’VIII secolo a.C. hanno iniziato l’estrazione e la lavorazione sistematica di minerali, metalli e altre risorse di cui era ricco il territorio (a partire dalla vicina Isola d’Elba) e hanno lasciato tracce di numerosi insediamenti abitativi e produttivi tra le colline. Due importanti città etrusche, Populonia e Vetulonia, per secoli si sono contese queste valli e queste colline. Tra i più importanti siti etruschi si deve citare il Lago dell’Accesa dove decennali scavi archeologici, ad opera del gruppo di lavoro del prof. Giovannangelo Camporeale dell’Università di Firenze, hanno fatto emergere una serie di insediamenti posti attorno al lago, riconducibili ad un villaggio dedicato anche alla lavorazione dei metalli. Fondamentali sono poi i reperti rinvenuti nelle numerose necropoli etrusche del territorio (San Germano, Santa Teresa, Poggio Pelliccia, Poggio Tondo) che sono oggi osservabili presso i musei archeologici di Massa Marittima, Rocca di Frassinello, il Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi dei Vetulonia e il Museo Archeologico e d’Arte della Maremma a Grosseto, (guarda il sito Musei di Maremma). Importanti sono inoltre i resti di un insediamento etrusco improntato sulla lavorazione siderurgica, scoperti in zona Rondelli nei pressi di Follonica, nella primavera del 1997.

L’Epoca Romana

Anche l’epoca romana presenta numerose testimonianze nel territorio del Parco. Il MAPS, Museo Archeologico del Portus Scabris al Puntone di Scarlino, è nato nel 2009 per divulgare i dati scientifici relativi agli scavi archeologici subacquei condotti fra il 2000 e il 2001, preventivamente alla costruzione del porto turistico Marina di Scarlino, nella rada di Portiglioni. Gli scavi, condotti da una equipe di archeologhe subacquee, hanno portato alla luce un esteso e ingente deposito di reperti accumulati nei secoli sui fondali della zona del Puntone di Scarlino. L’alta concentrazione di questi reperti ha rivelato un intenso traffico di navi mercantili già a partire dal III secolo a.C. La scoperta è importante in quanto indizio probante della presenza in quest’area del celebre “Portus Scabris” citato dalle fonti antiche. Tra i reperti archeologici si annoverano oggetti caduti accidentalmente in mare durante il carico e lo scarico delle navi, anfore e vasellame danneggiati durante i viaggi e gettati in mare per liberare le stive.

Il Medioevo

L’epoca medievale ha lasciato tracce profonde nel territorio del Parco. Il sito alto medievale di Vetricella nel territorio di Scarlino, si trova al centro della pianura costiera attraversata dal fiume Pecora, ai piedi del castello di Scarlino, un’area oggetto di approfondite ricerche archeologiche già da numerosi decenni. Scoperto nel 2005 tramite ricognizioni di archeologia aerea, quando sono stati riconosciuti i suoi eccezionali tre cerchi concentrici, le ultime campagne di scavo svolte hanno confermato definitivamente l’importanza storica di questo sito, risultato particolarmente ricco di reperti archeologici e di indicatori riferibili ad attività economiche e produttive databili a partire almeno dal IX secolo. Muovendoci verso il basso Medioevo, grazie ai giacimenti dei minerali rame, argento ed alunite, il territorio delle Colline Metallifere ha vissuto secoli di splendore, sebbene conteso tra le potenze del periodo: Siena, Volterra e Pisa. A testimonianza di questa ricchezza possiamo ricordare la presenza in questo territorio di grandi artisti come Ambrogio Lorenzetti, Giovanni e Andrea Pisano, Sano di Pietro e Stefano di Giovanni detto il Sassetta, per lo più impegnati in pregevoli opere presso Massa Metallorum, l’attuale Massa Marittima.
Nel XIII secolo fu redatto proprio in questa città uno dei primi Codici minerari d’Europa. Gli “Ordinamenta super arte rameriae et argenteriae civitatis Massae”, meglio conosciuti come “Codice Minerario”, rappresentano una fonte preziosissima per la conoscenza del sistema di estrazione mineraria medievale in ogni fase poiché fissa le regole per la corretta conduzione delle attività estrattive dalla ricerca alla sicurezza dei pozzi alla salute dei minatori alla commercializzazione dei prodotti estratti. Il Codice di Massa Marittima costituì un modello imitato da altre città toscane: Siena, che nel XIV secolo emanò leggi sull’estrazione mineraria del tutto simili a quelle di Massa, e Pisa che, per lo sfruttamento del ferro della Sardegna fondò la città di Iglesias, i cui documenti minerari ci sono giunti in una redazione del 1302.

Sempre a Massa Marittima nel 1317 fu aperta la Zecca per autorità del Comune con il proposito di coniare tre tipi di monete utilizzando l’argento e il rame locali: il Grosso d’argento da 20 denari, il Grossetto d’argento da 6 denari e il Denaro piccolo in mistura. Attualmente si conoscono due varianti del Grosso, tre varianti del Piccolo e nessun Grossetto, che risulta assente anche nella circolazione monetaria dell’epoca. La zecca fu attiva in modo certo dal maggio 1317 fino al 1318 e le sue monete circolarono fino a tutto il 1319. Nello stesso periodo Montieri diventa famosa per la ricchezza di giacimenti minerari presenti nel territorio, ricchi soprattutto di elementi metallici come ferro, rame, piombo, zinco e in particolare l’argento che fa diventare questa località un importante centro di estrazione e lavorazione di questo minerale. Per la ricchezza dei suoi giacimenti, la classe mercantile senese esercitò su Montieri un’influenza costante, contestata dai poteri feudali e da quelli concorrenti delle città circostanti come Volterra.

Dal Cinquecento alla fine del XX secolo

Nella seconda metà del Cinquecento, tutto questo territorio entrò a far parte del Granducato di Toscana, a seguito della definitiva caduta della Repubblica di Siena, avvenuta nel 1555. Nella seconda metà del XVI secolo Cosimo I dei Medici riattivò numerosi impianti di estrazione e lavorazione dei metalli.
Dopo questa importante esperienza imprenditoriale è necessario aspettare il XIX secolo per vedere di nuovo la ripresa dei lavori minerari. Società belghe, francesi, inglesi, tedesche rimisero in attività i vecchi centri di produzione. Vennero incrementate le ricerche ed iniziò la fase delle grandi produzioni. Alla fine del secolo, nel 1899, fece la sua comparsa in Maremma la Società Montecatini, nata nel 1888 a Montecatini Val di Cecina per lo sfruttamento di un giacimento di rame. In Maremma la Montecatini si interessò all’acquisto delle miniere di rame di Fenice Capanne e di Boccheggiano.
Ma la vera fortuna di questa impresa mineraria non fu determinata dalla ricchezza dei giacimenti cupriferi, ma bensì da quelli di pirite dai quali era possibile produrre acido solforico (partendo dalla parte solforosa della pirite), una delle materie prime fondamentali dell’industria chimica.  Nel 1910 la Montecatini acquistò una quota consistente della Unione Italiana Piriti proprietaria della più antica miniera di pirite della Maremma: quella di Gavorrano.

Con la messa in esercizio, nel 1930, della Miniera di Niccioleta la Montecatini si era assicurata il monopolio delle piriti italiane: il 90% della produzione nazionale di questo minerale proveniva dalle miniere maremmane, di cui era l’esclusiva proprietaria. Proprio a partire dagli anni ’30 il paesaggio delle Colline Metallifere subì un repentino e continuo cambiamento: nacquero interi villaggi minerari, impianti industriali con strutture sempre più ardite e sempre più invasive. Il comprensorio vide impiegate diverse migliaia di addetti e per il trasporto del materiale fu realizzata una vera e propria rete di teleferiche lungo più di 40 km (il sistema di teleferiche più lungo d’Europa) che dalle varie unità produttive faceva affluire il minerale alle stazioni ferroviarie di Scarlino e di Gavorrano per le spedizioni via terra e all’imbarco di Portiglioni, presso Scarlino, per quelle marittime (Terra rossa: sito del Parco attualmente valorizzato e visitabile).

Un altro capitolo delle attività estrattive maremmane è costituito dalle miniere di lignite che sono state intensamente sfruttate in particolar modo durante i due periodi bellici (Miniera di Ribolla, Casteani, Montebamboli), ma, non appena i mercati furono riaperti, il “carbone” di Maremma non riuscì a reggere la concorrenza di quelli esteri e soprattutto del petrolio. La tristemente nota sciagura di Ribolla, uno scoppio della miniera di lignite, che uccise nel 1954, 43 persone, accelerò infine i tempi della crisi.

La dismissione dell’attività mineraria

A partire dagli anni ‘80 si consolidò progressivamente il processo di contrazione dell’attività e del numero dei lavoratori occupati nel settore minerario, che si concluse definitivamente con le dismissioni degli impianti minerari dei primi anni ’90.
La causa principale della chiusura delle attività fu la diminuzione della concorrenzialità sul piano internazionale del minerale estratto e lavorato nel territorio, in modo particolare della pirite, e con la sua sostituzione con lo zolfo (ricavato come sottoprodotto nei processi di raffinazione del petrolio) come materia prima nella produzione di acido solforico.
Questo determinò anche il ridimensionamento e poi la riconversione tecnologica dell’impianto di trasformazione per la produzione di acido solforico di Scarlino, che aveva costituito un efficace esempio di verticalizzazione produttiva ed uno dei fenomeni più rilevanti della chimica italiana.
Questo processo coincise con la crisi della siderurgia a Piombino, contribuendo in modo determinante alla grave crisi economico-occupazionale del bacino e del territorio provinciale di Grosseto. A partire dai primi anni ’90 iniziò l’inesorabile processo di diminuzione progressiva dei lavoratori e la dismissione degli impianti minerari.

Attraverso l’utilizzo di risorse messe a disposizione dall’allora Ministero dell’Industria è stato possibile sostenere i primi progetti ed i primi investimenti per il recupero delle aree minerarie anche a fini di valorizzazione culturale dei beni minerari (il Parco).

Dal 1993 al 1999 i comuni delle Colline Metallifere, dopo aver ottenuto i fondi necessari, hanno cominciato a realizzare gli studi per la fattibilità per i recupero e la valorizzazione con fini culturali e turistici dei compendi ex minerari.

Da sottolineare che, per effettuare il recupero e gli investimenti, i Comuni del Parco hanno dovuto ottenere in primis la disponibilità dei beni solitamente di proprietà privata o vincolati. Al momento sul territorio le risorse investite direttamente da Comuni, dai fondi regionali, nazionali, dell’Unione Europea e dalla società mineraria che si occupa delle bonifiche e della messa in sicurezza delle aree minerarie dimesse ammontano a circa 130 milioni di euro. I lavori relativi ai primi investimenti sono stati realizzati a partire dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso. In generale i Comuni avevano inserito nei propri piani triennali il recupero e la valorizzazione delle aree minerarie.

L’assenza del Parco avrebbe fatto correre il rischio di vedere realizzati interventi scollegati tra di loro senza alcun coordinamento di contenuto e di gestione vanificando in questo modo l’enorme portata culturale della lettura del paesaggio delle Colline Metallifere nella sua completezza.